lunedì 30 marzo 2020

ANELITO DI PACE Poesia


ANELITO DI PACE

 
Sono lampi di fuoco
allo sbaraglio
nella bellicosa  terra,
la moltitudine fugge fugge,
son spettri in trepidazione
che incedono su sassi aguzzi,
dietro porte negate
non colgono clemenza,
speranza e disperazione
unica amalgama.
Satura di profughi va la carretta
su acque tempestose,
fermarsi, poi, in terra di pace.
Anche Aylan piccolo navigante
lo sguardo volge al sogno,
ma il vento non conosce vela,
non basta il mare
a spegnere la guerra
ma, sì, in un guizzo
ferma il battito bambino,
 
flutti di lacrime lo pongono
 
alla brulla terra.
 

lunedì 17 aprile 2017

NELLA VALIGIA LA MIA ISOLA

 
NELLA VALIGIA LA MIA ISOLA


 Colmai valigia d'acqua di mare
fragrante di zagare e limoni,
mi trepidò l'animo come bambina
quando sciolsi l'intreccio
dalle mani di madre
 la pelle saturai di solleone
i passi amalgamai di salsedine
perché il ricordo
non solo nudo ricordo fosse.


 Ingoiai bocconi di vento
- ossigeno di ristoro -
alle mie spalle si poggiò
il sole, fedele guida perenne
per tutti i miei giorni,
raccolsi una manciata
di respiri mattutini
- lievito per il mio vivere -
nelle tasche sole e grano
per irraggiare il mio cammino.


 D'acqua mi rinfrescai la gola
alla sorgente che sgorga
ancora, come nelle notti
che mi custodiva il sonno
nella casa atavica lì vicino.

 Uno sguardo
dall'oblò della memoria,
dello zampillare
scintille d'argento

sono limpide parole.


Primo premio "Città di Massa" 2016 
 


.2016 - PREMIO CITTA' DI MASSA  -
 
 






  

Dall'Azzurro d'Incanto - silloge 2017 poesie




DALL'AZZURRO D'INCANTO

Dopo tanto incerto andare
mi fermai lungo filari
di ginestre
in lieto rigoglire,
in linguaggio di luce
rincuoravano
ramoscelli inermi
selve in ombra.
Il tacito crescere del giorno
lambiva l’assopimento
di luna e stelle
fasciava
giardini d’aprile.
Dall'azzurro d'incanto
di vigore s’inebriò
il mio vivere,
da cielo e mare
immenso blu infinito,
stille di gioia
mi sommersero di canto,
a te che d'un sorriso
allietasti il mio cuore
di luce d'incanto
colmai i tuoi occhi.

ERA GENNAIO
 
 
impetuosamente ti destava
quell'immensa pulsazione
all'unisono,
alta era la marea
e dall'acque m'esternavo,
nei pugni chiusi
la speranza racchiusa,
i miei occhi all'universo,
tu, mia sorgente prodiga
mi spianavi il cammino
della vita, i primi passi
dal tuo cuore.
Tripudio tutt'attorno
e scaldini sul mio corpo
- alquanto gelido era gennaio -
tanto pure mi scaldava
il bianco di latte sulle labbra
 
non ricordi che tremavo...
 
La tua carezza era lieve
e affievoliva il mio pianto
percepivo l'amore
dalle tue braccia possenti.








 
 

martedì 28 giugno 2016

QUANDO UN FIORE


 
QUANDO UN FIORE

Da fiore in fiore
pulsa l'anima di farfalla
e di nettare si ciba
se non c'è fiore
di che altro si sazia?

Il fiore sta guardingo
osserva la mano
che per coglierlo sta
e par vorrebbe dire

non mi colpire al cuore
senza me una farfalla muore
rallegro gli animi afflitti
coloro le cupe stagioni
rendo ossequio all'immensità
e alla ridente alba
d'amabile fulgidezza
che protegge
da ogni pazzia umana.






giovedì 23 giugno 2016

SALVATORE QUASIMODO

Biografia: Salvatore Quasimodo

Biografia:
Nacque a Modica (Ragusa) nel 1901 e trascorse la sua infanzia in vari paesi della Sicilia dove via via s’era trasferito il padre che faceva il capostazione. Dal 1919 al 1926 visse a Roma per frequentare il Politecnico e laurearsi in ingegnerie, ma le ristrettezze economiche egli interessi per le lingue latina e greca lo dissuasero presto da quel tipo di studi. Nel 1926 si impiegò presso il Genio Civile di Reggio Calabria e nel 1929, trasferito a Firenze, fu introdotto da suo cognato Elio Vittorini, nell'ambiente letterario della rivista Solaria dove conobbe Montale, La Pira, Loria… e cominciò le sue pubblicazioni poetiche. Nel 1930 pubblicò la sua prima raccolta di versi Acque e Terre e nel ’32, trasferito a Genova, pubblicò Oboe Sommerso. Nel ’34 il poeta era a Milano, accolto nell'ambiente culturale milanese, e lasciato l’impiego al Genio civile si dedicò completamente alla poesia. Nel 1940 pubblicò la sua mirabile traduzione dei Lirici Greci ottenendo tali consensi che nel 1941 per chiara fama fu chiamato a insegnare letteratura italiana al Conservatorio. Intanto, scoppiata la seconda guerra mondiale, il poeta ne fu profondamente sconvolto e maturò l’idea che la poesia dovesse uscire dalla sfera aristocratica del privato per interessarsi alle problematiche sociali e civili, intenta a rifare l’uomo abbrutito dagli orrori della guerra. Questo impegno si riscontra in tutte le successive raccolte poetiche di Quasimodo: Giorno dopo giorno (1947), La vita non è sogno (1949), La terra impareggiabile (1958). Nel 1959 gli fu attribuito il premio Nobel per la letteratura. Morì a Napoli nel 1968.

Le idee e la poetica
L’esperienza poetica di Quasimodo si può suddividere in tre tappe essenziali.

La prima è rappresentata dalle poesie improntate ai modelli più illustri del tempo, dal Pascoli ai simbolisti, dal D’Annunzio ai crepuscolari.
Temi salienti:
- l’amore per la terra siciliana
- la malinconia
- il ricordo dell’infanzia
Sono sentimenti che il poeta lascia sgorgare dall'animo con sincera effusione, ma con linguaggio sobrio.

La seconda ha come esperienza essenziale l’ermetismo; nelle liriche di questo periodo prevale la scelta formale (lo studio della parola porta ad una poesia pura e intensa). Siamo negli anni dell’appassionato studio dei lirici greci e l’esercizio sulle lingue classiche permette a Quasimodo di conciliare le esigenze della nuova poetica con il costante impegno di chiarezza.

La terza tappa si può considerare quella che scaturisce dalla dolorosa esperienza della guerra. In quello sconquasso la poesia non può rimanere nel suo idillico isolamento, ma deve farsi interprete dell’uomo, acquistare concretezza e coscienza. Quasimodo si impegna in una poesia nuova che manifesta l’aberrazione per la guerra e l’ansia di rifare l’uomo, ridandogli le sue illusioni e la fiducia nel futuro.
Purtroppo, in questa ultima fase, la poesia di Quasimodo, nell'impegno di diventare incisiva, decade spesso in una certa magniloquenza declamatoria.


I RITORNI
di Salvatore Quasimodo


Piazza Navona, a notte, sui sedili
stavo supino in cerca della quiete,
e gli occhi con rette e volute di spirali
univano le stelle,
le stesse che seguivo da bambino
disteso sui ciottoli dei Platani
sillabando al buio le preghiere.

Sotto il capo incrociavo le mie mani
e ricordavo i ritorni:
odore di frutta che secca sui graticci,
di violaciocca, di zenzero, di spigo;
quando pensavo di leggerti, ma piano,
(io e te, mamma, in un angolo in penombra)
la parabola del prodigo,
che mi seguiva sempre nei silenzi
come un ritmo che s'apra ad ogni passo
senza volerlo.
Ma ai morti non è dato di tornare,
e non c'è tempo nemmeno per la madre
quando chiama la strada,
e ripartivo, chiuso nella notte
come uno che tema all'alba di restare .

E la strada mi dava le canzoni,
che sanno di grano che gonfia nelle spighe,
del fiore che imbianca gli uliveti
tra l'azzurro del lino e le giunchiglie ;
risonanze nei vortici di polvere,
cantilene d'uomini e cigolio di traini
con le lanterne che oscillano sparute
ed hanno appena il chiaro di una lucciola.




















martedì 14 giugno 2016

IL RITORNO DI ME - VIDEO/VOCE

VIDEO/VOCE  >  http://dai.ly/x140vix


IL RITORNO DI ME

Vagabondo nei meandri
del mio pensiero
corda staccata da violino
bicchiere vuoto di memorie
solitarie mani
un po’di me ho smarrito.

Nessun battello in approdo
quanto tempo ancora…
per ritrovare l’ego.

Se l’aurora annuncerà il mio ritorno
forse questa gelida stagione
che tra scogliere si frantuma
risorgerà dal poggio rifiorita

ed io celebrerò me-stessa
con due coppe di champagne

VINCENZO CARDARELLI

VINCENZO CARDARELLI

Biografia Tormento, inquietudine e solitudine

Vincenzo Cardarelli, il cui vero nome è Nazareno Cardarelli, nasce il giorno 1 maggio del 1887 a Corneto Tarquinia in provincia di Viterbo. I genitori sono di estrazione molto umile e la madre Giovanna sarà praticamente assente dalla sua vita; tale assenza che provocherà molto dolore al poeta. Il padre, invece, Angelo Romagnoli, gestisce una piccolo caffè nella stazione ferroviaria di Tarquinia. Angelo viene soprannominato il "bisteccaro", che nel dialetto di Tarquinia significa uomo di modesta condizione economica, e Vincenzo a causa di una malformazione alla mano sinistra viene chiamato "il bronchetto del bisteccaro".

La difficile condizione familiare e la sua altrettanto complicata vita sociale lo fanno soffrire al punto da riversare nella sua poesia complicati sentimenti di odio e amore. Spesso la nativa terra etrusca viene persino resa oggetto di una sorta di trasformazione favolistica.
 

Il padre, che avrebbe voluto trasformarlo in un commerciante, gli impedisce di seguire in maniera regolare i suoi studi. Per fortuna a diciassette anni si allontana da Tarquinia e dopo la morte del padre, nel 1906, comincia a impiegarsi in una serie di lavori: galoppino per un avvocato socialista, impiegato nella segreteria della federazione metallurgici, ed infine correttore di bozze e critico teatrale all'Avanti. Per l'Avanti scrive circa due articoli al giorno firmandosi con gli pseudonimi di Calandrino, Simonetta ecc.

Dopo l'esperienza romana con il giornale si trasferisce a Firenze, dove collabora alla rivista "La Voce" e inizia la stesura dei "Prologhi" (1914). La prima produzione poetica è molto influenzata da autori italiani come Leopardi e Pascoli, e soffusa di un senso di precarietà ed inquietudine che è anche della sua vita personale. Nel 1914, grazie alla vincita di una borsa di studio per la Germania, Cardarelli decide di partire al fine di approfondire i suoi studi e intraprendere la carriera di professore universitario. Ma la guerra lo coglie proprio mentre è in viaggio verso Lugano, dove rimane cinque mesi occupandosi della revisione dei suoi Prologhi.

Il periodo della guerra vede Vincenzo Cardarelli in una condizione di notevoli ristrettezze economiche. Non viene però richiamato alle armi a causa della malformazione alla mano sinistra. Si distacca intanto dagli animatori della rivista "La Voce" con cui ha collaborato fino ad ora e fonda la rivista "La Ronda" (1919), alla base della quale pone la sua appassionata riscoperta del classicismo e della modernità del Leopardi. "La Ronda" si tiene abbastanza lontana dalla politica attiva e dal fascismo, proprio come Cardarelli che scrive solo qualche poesia a tematica politica, poi ripudiata. Il giornale non ha però vita lunga e chiude i battenti nel 1923.

Nel frattempo pubblica la sua seconda opera, "Viaggi nel tempo" (1920), contenente anche una seconda parte dal titolo "Rettorica" con dei brani di critica letteraria. Al centro del suo nuovo stile poetico vi è il rapporto musica e poesia sviluppato grazie all'influenza della poesia francese di Baudelaire, Verlaine e Rimbaud.

In questi anni si sprofonda nel lavoro componendo "Favole della Genesi" (1921), una serie di favole bibliche, e "Favole e memorie" (1925). Nel 1928, dopo la collaborazione alla rivista di Leo Longanesi "L'italiano", parte per la Russia come inviato del quotidiano romano "Il Tevere". Gli articoli che scrive in questo periodo, e che si propongono di osservare la società russa dopo la Rivoluzione di Ottobre, sono raccolti in un volume dal titolo "Viaggio d'un poeta in Russia".

"Il sole a picco" (1929) invece riprende le tematiche sia di Viaggi che di Memorie con rievocazioni mitiche e venate di melanconia della sua terra natale. Seguono ben tre opere in prosa nel giro di pochi anni: "Parole all'orecchio", "Parliamo dell'Italia" e "La fortuna di Leopardi".

Con l'avvicinarsi del secondo conflitto mondiale, qualcosa si spezza in Vincenzo Cardarelli che diventa sempre più tormentato ed inquieto. In questo periodo vive in una camera d'affitto a Via Veneto a Roma ed è quasi paralizzato. Ogni giorno si fa portare al caffè Strega vicino casa sua e lì siede per ore completamente inattivo e immerso nei suoi pensieri. Dopo l'arrivo degli alleati a Roma decide di tornare nella sua nativa Tarquinia, ma resta per poco tempo. Cerca di ritrovare la città e le atmosfere della sua infanzia ma ne rimane deluso.

Nel 1945 ritorna a Roma, tuttavia l'animo resta malinconico come dimostra il testo di ricordi "Villa Tarantola" (1948), vincitore del Premio Strega. La sua situazione economica si fa così difficile che, dal 1943 al 1945, gli amici pittori Carrà, De Pisis e Morandi vendono all'asta alcune loro opere per dargli una mano. Le sue ultime pubblicazioni sono: "Solitario in arcadia" (1947), "Poesie Nuove" (1947), "Il viaggiatore insocievole" (1953).

Vincenzo Cardarelli Muore a Roma il 18 giugno del 1959, all'età di 72 anni. Viene seppellito a Tarquinia secondo quanto da lui espressamente richiesto nel suo testamento.

 
**

GIUSEPPE UNGARETTI

GIUSEPPE UNGARETTI, LA VITA - Giuseppe Ungaretti è nato ad Alessandria d'Egitto l'8 febbraio 1888 ed è morto a Milano il 1° giugno 1970. Di famiglia toscana, dopo aver trascorso in Egitto l'infanzia e l'adolescenza, nel 1912 si è trasferito a Parigi, dove ha trascorso molti anni, si è laureato alla Sorbona ed è stato a contatto con le prime avanguardie novecentesche e con i grandi temi del Simbolismo e della poesia pura. Ha partecipato alla prima guerra mondiale, combattendo in Italia e in Francia. Rientrato in Italia nel 1921, ha lavorato al Ministero degli Esteri e ha aderito al fascismo: Mussolini stesso ha firmato la presentazione di una sua raccolta. Poco prima della seconda guerra mondiale, nel 1936, è stato chiamato a insegnare lettere italiane all'Università di Sao Paulo, in Brasile. Dal 1942 ha insegnato letteratura italiana moderna all'Università di Roma. L'apparizione dei primi libri di Ungaretti (Il porto sepolto nel 1916 e Allegria di naufraghi nel 1919) ha rappresentato uno dei momenti decisivi della formazione della poesia italiana contemporanea. La sua fama di poeta è cresciuta con il passare del tempo.

Leggi anche: Giuseppe Ungaretti e la poetica dell'Allegria


giuseppe_ungaretti UNGARETTI E L'ERMETISMO - Ungaretti è considerato il fondatore dell'ermetismo, corrente letteraria che si è diffusa in Italia più o meno a partire dagli anni Venti e che ha avuto tanto peso sulla poesia italiana successiva. Gli ermetici cercavano di restituire al linguaggio della poesia una sua dimensione essenziale, scabra, talvolta volutamente oscura al fine di restituire alla parola abusata verginità e novità. Così riscattate, le parole tornavano a essere specchio della realtà e consentivano all'uomo di percepire l'inesprimibile sostanza di quel mondo apparentemente privo di senso che lo circondava. Strumento tecnico fondamentale per gli ermetici era l'analogia, intesa però in un senso tutto particolare ben spiegato dallo stesso Ungaretti: «Il poeta d'oggi cercherà di mettere a contatto immagini lontane, senza fili». Abolendo il "come" che introduce il rapporto tra le cose paragonate, l'analogia diventa più sintetica e oscura, ma per questo più efficace.
L'essenzialità della poesia ermetica
è da mettere in diretta relazione con il contenuto. Le scelte di stile, infatti, non erano mai dettate dal caso. I poeti ermetici erano accomunati da un male di vivere che, pur essendo diverso nella concreta esperienza di ciascuno, li accomunava tutti nel pessimismo sulle possibilità dell'uomo e persino della stessa poesia. In assenza di certezze da cantare a gola spiegata, gli ermetici rifiutavano i moduli espressivi tradizionali sulla base di una precisa scelta etica.

Approfondisci: Giuseppe Ungaretti, riassunto della vita

UNGARETTI, LA POETICA - Poesia e biografia sono per Ungaretti strettamente legate
: sono state proprio le esperienze di vita a determinare alcune precise scelte di stile e contenuto assolutamente innovative per la poesia italiana. La prima, e fondamentale, è l'esperienza di soldato. Sepolto in trincea tra fango, pioggia, topi e compagni moribondi, il giovane poeta ha scoperto una nuova dimensione della vita e della sofferenza che gli sembrava imporre, per poter essere descritta, la ricerca di nuovi mezzi espressivi. Così è nata la raccolta Allegria di naufragi. Dall'analisi delle proprie emozioni Ungaretti ha tratto enunciazioni essenziali e fulminee che hanno portato alla distruzione della metrica tradizionale: i versi venivano spezzati e ridotti talvolta a singole parole, che si stagliavano isolate o accostate tra loro con lo strumento dell'analogia, senza punteggiatura, intervallate da spazi bianchi che assumevano a loro volta un preciso significato.

Focus: Giuseppe Ungaretti e l'Ermetismo, la videolezione

UNGARETTI, OPERE - La successiva raccolta Sentimento del tempo del 1933 presenta un'evoluzione nella poetica di Ungaretti. Gli spunti autobiografici sono diminuiti lasciando posto a una riflessione più esistenziale. L'uomo Ungaretti ha tentato di farsi Uomo, cercando nelle proprie emozioni e paure il riflesso di quelle che erano comuni a tutti. Ed è iniziato il tormentato recupero della fede, la quale poteva forse rappresentare per l'uomo smarrito un'ancora di certezze. Il cammino, tuttavia, non era lineare e non mancavano situazioni di conflitto tra il sentimento religioso e le esperienze dolorose nella storia del singolo o della comunità. Parallelamente a questi cambiamenti tematici ne sono avvenuti altri a livello stilistico: in particolare il recupero di una metrica più tradizionale, rinnovata però dal precedente lavoro di scoperta della parola.

Da non perdere: "Veglia" di Ungaretti, analisi e parafrasi

GIUSEPPE UNGARETTI, LE POESIE - Ne Il dolore, raccolta del 1947, la biografia è tornata nuovamente ad avere un posto prevalente nella poesia in seguito alla tragica morte del figlio Antonietto, a cui sono dedicate le liriche della prima parte. Nella seconda parte, invece, Ungaretti si è soffermato sulle vicende drammatiche della guerra. C'è un rapporto tra le due sezioni: il dolore individuale e quello collettivo danno la misura di un cammino umano segnato dalla sofferenza e dalla difficile riconquista della fede negli imperscrutabili disegni divini. E tra questi due piani, quello personale celebrato nel Dolore e quello corale e collettivo, che ha trovato le sue più alte espressioni nel Sentimento del tempo, si muove tutta la successiva produzione di Ungaretti.

Approfondimento di studio
Appunti:
- "Natale" di Giuseppe Ungaretti
- "I fiumi" di Ungaretti
- Ungaretti e l'Ermetismo
- "Sono una creatura" di Ungaretti
- Vita e opere di Ungaretti
- Ermetismo e Ungaretti
- Le poesie di Ungaretti
- Giuseppe Ungaretti: pensiero e opere principali
- "Fratelli" di Ungaretti
- "Soldati" di Ungaretti
- "Una colomba" di Ungaretti
- "San Martino al Carso" di Ungaretti
- "Veglia" di Giuseppe Ungaretti

giovedì 12 maggio 2016

"U PICCIRUDDU BBANNUNATU" - Video


U PICCIRIDDU BBANNUNATU

 



Un picciriddu bbannunatu

- avia quattr'anni -

avanti a un puttuni chiusu

ciancia lacrimi a scrosciu,

ciancia ciancia

'u cori m'agghiacciava,

u vosi accarrizzari

trimava

comu fogghia 'o ventu

di gelu era a so faccia.

Jò curria ca' bacila

a pigghiari acqua caudda,

'u coppu du picciriddu

vulia quaddiari.

'Ntra i sigghiuzzi

'u picciriddu balbittau:

suggnu sulu senza madri

aiu fami sentu friddu.

Veni cu mmia – ci sussurrai

cu na pena ranni ranni -

ti quaddiu cu latti cauddu

e c'u meli, ti vestu

da testa 'e pedi, ti fazzu

sèntiri un principinu.

'U picciriddu mi vaddau

chi so occhi lacrimusi

m'ibbrazzau cu tutta

a so fozza, quasi a prigammi:

vogghiu esseri to figghiu

sugnu sicuru ca mai

m'abbandunirai,

chidda ca mi lassau sulu

'na vogghu cchiu vìdiri,

ora mi manca 'u ciatu

e mi batti fotti 'u cori,

vaddu a ttia e sicuru suggnu

chi n'autra mai

putria esseri me madri.



Grazia Finocchiaro
novembre 2015


IL BAMBINO ABBANDONATO

Un bambino abbandonato

- aveva quattro anni -

dinnanzi ad un portone chiuso

piangeva lacrime a scroscio

piangeva piangeva

il cuore mi ghiacciava,

l'ho voluto accarezzare

tremava

come foglia al vento

di gelo era il suo viso.

Son corsa col bacile

a prendere acqua calda,

il corpo del bambino

volevo scaldare.

Tra singhiozzi il bambino

ha balbettato:

sono solo senza mamma

ho fame sento freddo.

Vieni con me

- ho sussurrato

con una pena grande -

ti scaldo con latte caldo

e miele, ti copro da capo ai piedi

ti faccio sentire

un piccolo principe.

Il bambino mi ha guardato

coi suoi occhi lacrimanti,

m'ha abbracciato

con tutta la sua forza,

quasi a pregarmi:

voglio essere tuo figlio

son sicuro che mai

m'abbandonerai,

quella che mi ha lasciato solo

non la voglio più vedere,

ora mi manca il fiato

mi batte forte il cuore,

guardo te e son sicuro

che un'altra mai

potrà essere mia madre.
 



 
"ITALIA POESIA CHIAMA EUROPA" Evento a cura di Lia Bronzi con Roberta Degl'Innocenti e Maria Salamone - Regione Toscana - Firenze

Video su "U picciruddu bbannunatu" - poesia in lingua siciliana-messinese








Link - https://youtu.be/JN1jhiCZpp8



"ITALIA POESIA CHIAMA EUROPA" Movimento Interassociativo - introduce LIA BRONZI Scrittrice e Poetessa - INTERVENTO DI GRAZIA FINOCCHIARO - presentato presso l'Auditorium del Consiglio della Regione Toscana - Firenze - Palazzo Panciatichi - Via Cavour 4 - 10 dicembre 2015 - Adesione VIRGINIA IORGA ONLUS - VALORE CULTURA E VALORE PACE - OVERTHESKY.IT direttore Maurizio Martini

lunedì 14 marzo 2016

Francesco Belluomini, “Intimi riflessi”

Francesco Belluomini,   “Intimi riflessi”  (cliccare sopra)


E’ facile trasporre dentro tempi
dell’azione la storia del passato
nel presente, ma regole non scritte
tresmettono la memoria dolorosa,
versando come fonte sincopata
i flussi dei ricordi conservati.
Al diavolo metafore e lirismo
se nel gioco c’entra la mia vita,
sebbene qualche scatto d’impennata
ne regga l’architave dell’impianto.

*
Se di parlato genere si tratta,
me ne farò ragione. Se l’accusa
dimostra che l’assenza di richiami
impoverisce tempi e contenuti,
buon però le faccia. Tanto mai servito
dell’alto contributo di tal geni,
preferendo non scrivere a più mani.
Intanto presso tutto nelle gabbie
di metrica stringente, la cui forma
sostenga l’ogni povero linguaggio.

*
Chissà cosa poi valga darsi tono
per qualcuno che lascia vuoti spazi
nei giorni che saranno ancora nostri.
Non mancano che giorni per sfatare
il mito dell’eccelsa resistenza
al dolore, che falsa sublimante
suggestione di quieta rassegnata
resa, sotto gli strappi della bestia
che s’è impadronita del suo corpo
per meglio derubarle la sua storia.


Francesco Belluomini, da “Intimi riflessi” Intimi riflessi

Angioletto